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La difesa missilistica della NATO. Cosa succede se la Russia ci attacca

Le relazioni tra Russia ed Europa rimangono tese: la crisi ucraina è ancora irrisolta e Putin non sembra intenzionato a fare passi indietro, mantenendo un atteggiamento aggressivo di fronte alle richieste occidentali. Tra le questioni che alimentano le tensioni vi è quella del progetto di difesa missilistica della NATO, già aspramente criticata da Putin e recentemente tornato agli onori delle cronache. La settimana scorsa infatti, la Russia ha minacciato in maniera più o meno esplicita la Danimarca per la sua adesione al progetto. In cosa consiste e a che punto è lo “scudo” della Nato? Dobbiamo preoccuparci o siamo al sicuro? Qui qualche informazione in più.

La difesa antimissile, storia e progetti.

Il tentativo di creare un sistema di difesa contro i missili balistici non è affatto nuovo: gli americani ci hanno provato più volte nel corso della guerra fredda, ad iniziare con l’amministrazione Kennedy. Nei primi anni ’60 infatti gli Stati Uniti iniziarono a sperimentare un sistema di difesa contro i missili balistici sovietici, sviluppando un missile “antimissile” in grado di intercettarli nell’atmosfera prima che potessero far detonare le testate nucleari da essi trasportate. Il sistema doveva proteggere i silos in cui erano situate le rampe di lancio dei missili balistici americani, in modo da assicurare la loro sopravvivenza in caso di  un attacco a sorpresa sovietco (e quindi la possibilità di rispondere all’attacco).

Ciò però avrebbe potuto creare un precedente pericoloso: in questo modo infatti la cosiddetta “mutua distruzione garantita” (MAD) non sarebbe più stata garantita. Se una delle due superpotenze fosse stata in grado di abbattere i missili dell’altra prima che questi fossero esplosi (limitando così enormemente i propri danni),sarebbe stata tentata di attaccare lei per prima, sapendo di poter resistere alla risposta del nemico. Tale tentazione avrebbe rotto l'”equilibrio del terrore” che le armi nucleari avevano creato, basato sul fatto che nessuno dei due contendenti era disposto ad iniziare una guerra nucleare a causa della devastazione che essa avrebbe sicuramente comportato sia per uno che per l’altro.

I sovietici presto iniziarono a sviluppare un loro sistema antimissile, ma sia questo che quello americano rimasero allo stato semi sperimentale. I leader politici delle due potenze infatti negoziarono un trattato che venne firmato nel 1972 e che proibiva l’utilizzo di simili sistemi di difesa, in modo da garantire l’equilibrio nucleare.

Gli americani però ci provarono di nuovo agli inizi degli anni ’80 con Ronald Reagan e la sua “Strategic Defense Initiative”, presto soprannominata “Guerre stellarei” dal film uscito qualche anno prima. Il progetto, costossissimo, si basava interamente su raggi laser posizionati su satelliti in orbita e fu oggetto fin dall’inizio di molte critiche. Ingegneri e fisici infatti dubitavano che esso potesse in realtà mai entrare in funzione. Il progetto si trascinò negli anni, fino ad essere annullato da Clinton che lo trasformò in un sistema di difesa di “teatro”, ovvero volto alla difesa di zone più ristrette invece dell’intero paese, abbandonando i laser e sostituendoli con missili.

Da allora gli sviluppi proseguirono, nel 2002 Bush junior riprese l’iniziativa, si ritirò dal trattato ABM e istituì la Missile Derfense Agency per sviluppare il sistema.

La piattaforma per il radar del sistema GMD. Courtesy of Missile Defense Agency

La piattaforma per il radar del sistema GMD. Courtesy of US Missile Defense Agency

Come funziona.

Ancora non pienamente operativo, il sistema di difesa missilistica americano è costituito sia da missili basati a terra che da missili trasportati da navi. Quest’ultimi sono una novità rispetto agli altri progetti risalenti alla guerra fredda e sono dovuti principalmente dalla necessità di fronteggiare minacce provenienti da più parti del mondo (Obama ha fatto spesso riferimento al sistema come una difesa contro i programmi nucleari di Corea del Nord e Iran). Le basi terrestri dei missili sono segrete ma dovrebbero trovarsi in Alaska e in California nella base area di Vandenberg. Ad esse si aggiungono poi le batterie mobili del sistema THAAD dell’esercito americano. Le unità navali capaci di trasportare i missili sono invece alcuni cacciatorpediniere della classe Arleigh Burke, dislocati in tutto il mondo. I tre programmi, benché coordinati, sono indipendenti uno dall’altro, il primo è infatti gestito dalla Missile Defence, il secondo dall’Esercito e il terzo dalla Marina.

I missili basati a terra utilizzano un complesso sistema di radar fissi per individuare i bersagli, esso include anche un radar semovente montato su una piattaforma petrolifera in grado di essere spostata via mare. Il sistema THAAD impiega invece radar mobili, mentre quello navale utilizza l’avanzatissimo radar AEGIS di cui sono equipaggiate le navi della marina militare americana.

Perché prendersela con la Danimarca?

I sistemi radar sono una componente fondamentale della difesa missilistica e la recente controversia tra Danimarca e Russia è nata proprio a causa di essi. La marina danese ha infatti annunciato la propria intenzione di integrare i radar a bordo delle proprie navi con quelli del sistema americano (cosa peraltro ancora teorica e in via di sperimentazione, trattandosi di sistemi diversi). Gli americani si stanno sforzando per trovare paesi che acconsentano ad “ospitare” le infrastrutture necessarie per il sistema di difesa missilistico. L’iniziale programma di Bush prevedeva la costruzione di una base missilistica in Polonia e di un radar in Repubblica Ceca. Le implicazioni politiche di questo programma (principalmente la difficoltà di trovare un accordo con i cechi, preoccupati dalle possibili ritorsioni russe) hanno però spinto l’amministrazione Obama a cambiare approccio. Ad oggi il piano prevede il dispiegamento in europa del sistema AEGIS della Marina americana con due basi in Polonia e Romania (l’ultima già operativa). A queste si aggiungono i missili e i radar basati sulle navi americane stanziate in Europa, nello specifico a Cadice in Spagna. Le basi e le navi americane saranno poi affiancate dalle unità navali Nato che potrebbero essere integrate nel sistema, quali quelle danesi.

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Cacciatorpediniere USS Preble, Foto dell’autore Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 4.0 Internazionale.

La Russia si sente minacciata dal sistema di difesa missilistica, in quanto esso potrebbe annullare il deterrente costituito dall’arsenale atomico russo. Gli Stati Uniti e l’Europa, secondo i russi, potrebbero quindi attaccare la Russia senza rischiare una guerra nucleare. Queste preoccupazione sono state più volte esplicitate da Putin (e se ne parla persino in House of Cards), che non ha usato mezzi termini per condannare l’iniziativa della NATO.

Al tempo stesso però, più la Russia si fa aggressiva più i paesi dell’est Europa si rivolgono agli StatI Uniti per ottenere protezione. Così si spiega l’adesione di Romania e Polonia al progetto (quest’ultima ha persino richiesto la presenza di truppe americane durante l’apice della crisi ucraina). Un circolo vizioso insomma, che di certo non aiuta la stabilità dell’area, già compromessa dalla situazione ucraina.

Siamo al sicuro?

Sì, ma non grazie ai missili. La possibilità di una guerra con la Russia è fortunatamente molto remota, non è interesse né dell’occidente né di Putin scatenare un conflitto e per questo motivo possiamo affermare che non rischiamo nulla. Se però la nostra sicurezza dovesse dipendere dallo scudo missilistico allora dovremmo preoccuparci. Non solo il sistema americano non è pienamente operativo (e lo sarà solamente tra alcuni anni), ma vi sono dei dubbi sulla sua efficacia, essendo il primo del suo genere nella storia. Un missili in fase di rientro nell’atmosfera è, come potete immaginare, davvero molto difficile da colpire con un altro missile. Moltiplicate la difficotà per le migliaia di missili che la Russia possiede in grado di colpire l’Europa o gli Stati Uniti. Moltiplicate ancora la difficoltà per il numero di testate nucleari che ciascun missile può trasportare (le cosidette testate MIRV, sono in grado di trasportare più di un ordigno nucleare e di lasciarli cadere “a pioggia” durante il rientro nell’atmosfera).

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NATO missile defense in Europe. Author’s own work. Licenza Creative Commons
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione – Non commerciale 4.0 Internazionale.

 

Insomma al momento è improbabile che il sistema possa costituire una difesa efficace o persino un deterrente credibile, per quanto i russi siano preoccupati. Sicuramente potrebbe essere utile nel caso di attacchi provenienti da “rogue states” come la Corea del Nord o l’Iran, ma si tratta comunque di ipotesi abbastanza remote, considerato che il programma nucleare iraniano è ancora in corso di sviluppo e che non si ha certezza che la Corea del Nord abbia effettivamente prodotto un ordigno nucleare.

Considerate le spese, le difficoltà tecniche e soprattutto il costo politico del programma, forse una prossima amministrazione americana meno interessata all’Europa orientale e più propensa ad una linea morbida con Putin potrebbe decidere di abbandonare o sospendere il progetto, almeno per quanto riguarda la parte europea, offrendolo come merce di scambio ai russi per risolvere la questione ucraina: proprio come Frank Underwood.

 

 

Foto in evidenza: test del sistema THAAD, photo by US Missile Defence Agency/CC BY