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La guerra in Ucraina è colpa nostra? La prospettiva realista

Nel numero di Foreign Affairs di ottobre è apparso un interessante articolo di John Mearsheimer che commentava le vicende recenti dell’Ucraina e la loro gestione da parte dell’Occidente. Secondo Mearsheimer la situazione attuale sarebbe una diretta conseguenza delle azioni intraprese da Unione Europea e NATO, che avrebbero scatenato la reazione della Russia. L’articolo ha naturalmente creato un certo dibattito e ad esso sono immediatamente seguite le repliche si altri politologi americani che hanno respinto la versione di Mearsheimer. La tesi di quest’ultimo è tuttavia molto interessante e difficile da smentire per quanto implichi un approccio piuttosto radicale alle relazioni con la Russia.

Le responsabilità dell’occidente.

John Mearsheimer è uno dei principali esponenti della corrente della teoria delle relazioni internazionali chiamata con il nome di “realismo”. Il principio fondamentale su cui essa si basa è l’intrinseca insicurezza della comunità internazionale, non esistendo un’autorità suprema che detti e faccia rispettare le regole. L’unico modo per una nazione di garantire la propria sicurezza è quindi l’acquisire il più possibile potere (militare ed economico) a scapito delle altre nazioni, perché in qualsiasi momento quest’ultime possono diventare una minaccia alla propria sicurezza.

Gli stati non cercherebbero però necessariamente il conflitto, ma semmai l’equilibrio. Anzi, la guerra costituisce sempre un rischio a causa della sua imprevedibilità, le nazioni quindi vi ricorrerebbero solamente quando essa diventa necessaria per salvaguardare gli interessi nazionali. Poco o nulla contano i tentativi di autoregolazione del sistema mondiale tramite trattati, organizzazioni internazionali e diplomazia. Questi mezzi infatti verrebbero utilizzati dagli stati solamente fino al punto in cui servono ai loro interessi, e infranti nel momento in cui non si rendano più necessari. Potrebbero sembrare delle conclusioni alquanto estreme, ma, purtroppo, esse spesso spiegano bene il comportamento delle grandi potenze nel corso della storia.

Nel caso dell’Ucraina, secondo Mearsheimer, il progressivo allargamento della NATO e dell’Unione Europea verso est in atto nel corso degli ultimi quindici anni avrebbero minacciato di intaccare la sicurezza della Russia, provocandone la prevedibile reazione. La Russia non può tollerare un’Ucraina alleata degli Stati Uniti e integrata con il resto d’Europa, in quanto essa sarebbe troppo vicina ai propri confini e costituirebbe un significativo arretramento della propria “sfera di influenza” (storicamente l’Ucraina è stata difatti sotto dominio russo). La Russia ha già attaccato la Georgia nel 2008, proprio poco dopo la discussione al vertice NATO di Bucarest di una futura ammissione di Georgia e Ucraina nell’alleanza. Tramite la guerra in Georgia i russi hanno riaffermato la propria supremazia nella regione, annientando qualsiasi velleitaria intenzione georgiana, svanita con le dimissioni del presidente Saakashvili. Allo stesso modo Mosca ha reagito alla proposta europea di una partnership con l’Ucraina per un futuro ingresso del paese nell’Unione, prima facendo una generosa controfferta e poi intervenendo con la forza dopo le dimissioni di Yanucovich (favorevole alla proposta russa).

Il supporto occidentale per i manifestanti a Kiev e il governo transitorio ha poi esacerbato la crisi. Le dimissioni di Yanucovich sono infatti state immediatamente etichettate dai russi come un colpo di stato organizzato da europei e americani. Putin ha dunque reagito aumentando il suo supporto alle fazioni pro-russe e occupando la Crimea.

Secondo Mearsheimer gli americani avrebbero dovuto prevedere la reazione russa, considerato che risponde ad una logica piuttosto semplice, che gli stessi americani hanno applicato in altre occasioni.

La spinta verso oriente di NATO e UE, iniziata già negli anni ’90, sarebbe stata principalmente motivata da considerazioni idealiste (o liberali, come viene chiamata la corrente di pensiero alternativa al realismo), secondo le quali la promozione della democrazia e la replica del modello dell’Europa occidentale in quella orientale avrebbe garantito la pace negli anni a venire. Mearsheimer afferma che questa politica ha avuto esattamente l’effetto opposto, essendo stata percepita come una minaccia dai russi.

Neutralizziamo l’Ucraina

Mearsheimer sostiene che le deboli misure intraprese contro la Russia non produrranno alcun effetto, nonostante il reiterato supporto politico di Europa e Stati Uniti all’Ucraina. La soluzione prospettata dallo studioso americano, invece, è di  ritirare qualsiasi proposta di ingresso nella NATO o nell’UE e fare dell’Ucraina uno stato neutrale, indipendente dalle pressioni dei due blocchi, proprio come l’Austria durante la Guerra fredda. Mearsheimer propone poi un piano di aiuti per il paese cofinanziato da UE, USA, Fondo monetario e Russia.

Certo questo significherebbe una rinuncia da parte ucraina al diritto di determinare in maniera indipendentemente la propria politica estera, ma questa è una conseguenza inevitabile della posizione del paese. Il politologo fa un esempio eloquente: gli stessi Stati Uniti negarono il diritto di Cuba ad allearsi con l’Unione Sovietica durante gli anni 60, e, anzi, intrapresero anche azioni aggressive per impedire all’isola di esercitare questo diritto.

L’inclusione dell’Ucraina nella NATO, inoltre, sarebbe sostanzialmente inutile: non solo non vi è una reale necessità occidentale di contenere la Russia (che sarebbe una potenza in declino), ma non vi è neppure una reale volontà occidentale di difendere il paese militarmente, non essendo considerato un punto particolarmente importante dal punto di vista strategico. Sarebbe folle ammettere un membro che gli altri alleati non avrebbero nessuna intenzione di difendere.

Al contrario, una distensione delle relazioni con la Russia permetterebbe la collaborazione con essa in altre aree come l’Afghanistan e l’Asia centrale.

Oppure è colpa di Putin?

L’articolo di Mearsheimer ha suscitato le reazioni di altri politologi americani che la pensano diversamente. Sempre su Foreign Affairs infatti sono state pubblicate le risposte all’articolo di Michael McFaul, ex membro del National Security Council sotto il primo mandato di Obama e dal 2012 ambasciatore americano a Mosca, e  di Stephen Sestanovich, ambasciatore in Russia fino al 2001.

Secondo il primo, le azioni della Russia sono da attribuirsi quasi esclusivamente alle decisioni di Vladimir Putin e alle dinamiche interne alla politica russa. McFaul afferma che il vero cambiamento nelle relazioni con la Russia è avvenuto con il passaggio della presidenza da Medvedev, incline a collaborare con l’occidente, e Putin, molto più propenso ad un confronto. L’ambasciatore ribadisce un approccio di analisi che già era stato teorizzato da George Kennan nel 1946 (il famoso “long telegram”). Secondo lui infatti l’aggressività di Putin è dovuta alla necessità di consolidare il proprio potere interno, messo in discussione dopo le elezioni del 2011 che furono molto criticate (furono segnalate moltissime frodi) e diedero origine anche a dimostrazioni di piazza. Putin indicando al popolo russo un nemico esterno (l’occidente) e proponendosi come fautore della rinnovata grandezza russa, cerca di sviare l’attenzione dagli altri problemi del paese e dalla feroce repressione che il suo governo attua nei confronti degli oppositori.

Anche Sestanovich accoglie in generale questa tesi ed aggiunge che l’allargamento della NATO non ha affatto peggiorato la situazione. Al contrario, l’allargamento verso est di NATO e UE ha stabilizzato una larga parte del continente e senza di esso l’attuale crisi ucraina avrebbe avuto conseguenze ben più gravi ed imprevedibili, rischiando di sconfinare negli stati vicini, facili vittime di nuove mosse espansionistiche di Putin. Sestanovich riconosce però che l’ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza sarebbe in ogni caso un errore, non tanto per i motivi indicati da Mearsheimer, ma piuttosto perché (come è successo per l’accordo di partnership con l’UE) spaccherebbe il paese in due. Putin ha in realtà sfruttato proprio la tensione interna al paese per i suoi scopi: dichiarare l’Ucraina neutrale come propone Mearsheimer non risolverebbe tale tensione, che rimane un problema interno. Per Sestanovich la soluzione migliore è disinnescare il conflitto interno e posporre a tempi più pacifici le questioni geopolitiche tra le grandi potenze.

Chi ha ragione?

La posizione di Mearsheimer è indubbiamente interessante, d’altra parte però il fatto che la Russia sia un’autocrazia nazionalista non ha di certo aiutato. Se al posto di Putin ci fosse stato un governo moderato e democraticamente eletto avrebbe reagito in maniera diversa, magari cercando di difendere i propri interessi nel paese vicino, ma sicuramente non usando la forza o assumendo comportamenti bellicosi.

Tuttavia, come fa notare lo stesso Mearsheimer in un ulteriore commento, la cesura tra la politica di Medvedev e quella di Putin non è così evidente come sostengono i due diplomatici americani. La Russia aveva già dato prova della sua aggressività sotto la presidenza Medvedev con la guerra in Georgia del 2008 e, nonostante le occasioni di cooperazione con gli Stati Uniti e l’Europa, sia Medvedev sia Putin durante il suo primo mandato avevano ripetutamente espresso la loro contrarietà in termini più o meno minacciosi ad un’eventuale espansione della NATO. Di questo l’Occidente avrebbe dovuto tenere conto, così come l’UE avrebbe dovuto tenere conto delle conseguenze interne che la proposta di un accordo di partnership avrebbe causato.

E’ sicuramente vero che la NATO e l’Unione Europea hanno contribuito in maniera decisiva a mantenere la pace sul continente per più di sessant’anni, ma è altrettanto vero che fino ad adesso il processo di allargamento non aveva mai raggiunto un’area di influenza di un’altra potenza. In Europa orientale UE e NATO hanno riempito un vuoto creatosi con il ritiro dell’Unione Sovietica, ora invece si trovano ad affrontare una forza che si oppone loro attivamente, sia essa motivata da ragioni strategiche oppure politiche interne al regime russo.

Cosa fare? Lasciare perdere, come suggerisce Mearsheimer? Oppure insistere con maggiore decisione? Senza dubbio un approccio più cauto, di sostegno alle istituzioni democratiche ucraine ma senza tentare di tirare il paese dalla propria parte, allarmando la Russia e Putin, avrebbe risparmiato molte sofferenze al popolo ucraino.

 

 

Photo by Sasha Maksymenko/ CC BY 2.0 – Un blocco stradale dell’esercito ucraino a Sloviansk.